Lo sport è di tutti
- Bettina
- 4 feb 2017
- Tempo di lettura: 2 min
Tutti hanno diritto di fare sport e di farlo come vogliono.
Che la conseguenza di allenarsi in uno sport sia fare partita e che la conseguenza di fare partita sia vincere è solo un luogo comune valido per alcuni, ma mai per tutti.
Fare sport è muoversi, giocare, divertirsi, distrarsi e volersi bene, ma il modo in cui uno vuole farlo è completamente soggettivo e non può neanche lontanamente essere stereotipato. Non ci sono tabelle, progetti, grafici, cliché, ma solo tanti casi diversi in cui ognuno sceglie quale sport gli piace di più, come interpretarlo e come viverlo per stare bene. C’è chi si mette in gioco, chi si pone degli obiettivi, chi si confronta con degli avversari e anche chi solo pratica uno sport per sfogarsi o sudare, o ancora chi solo per stare insieme ad altre persone facendo sano movimento.
E se il più delle volte il modo in cui giochiamo, invece che rispecchiare l’espressione di noi stessi e del nostro piacere, fosse solo una conseguenza dell’essere accettati o approvati?
Vale di più l’opinione che hanno gli altri di noi o quella che abbiamo di noi stessi?
A tutti piacciono gli applausi, i complimenti e in ciò non c’è nulla di insano, ma la ricerca di approvazione dovrebbe restare un valore aggiunto e non un’esigenza. Se ne abbiamo bisogno per stare bene allora è pericoloso perché se non c’è noi crolliamo.
Portarsi dietro la necessità di essere approvati in tutto quello che si fa ci condanna a vivere frustrati; è un grosso freno alla costruzione di un’identità oltre che al vedere espresso il nostro piacere. Se siamo così in balia del parere altrui finisce per non esistere un io, ma esistono le reazioni altrui che determinano oltre al mio stato d’animo quello che penso e dico…sono quello che gli altri vogliono che io sia e non ciò che voglio.
Sentirsi biasimare o riprendere brucia. È più facile agire in modo da farsi approvare, ma così facendo si rendono le opinioni altrui più importanti delle nostre.
Se ci si impegna a giocare a tennis e si finisce per fare le partite perché lo crediamo giusto o normale e non perché ci piace e ci diverte, e si vuole vincere perché è normale vincere, tutto diventa pericoloso. Anche nelle competizioni la normalità è giocare. Vincere sarà un valore aggiunto e perdere un peccato, ma nessuna delle due cose andrà ad intaccare il concetto sano del mio fare sport.
Credo che si dovrebbe più spesso lasciare che il bambino scopra e ricerchi l’espressione di gioco che più sente sua perché lo rispecchia caratterialmente e concorda col suo gusto, quindi nessuno dovrebbe avere il diritto di giudicarlo per le sue vittorie o sconfitte e lui stesso non dovrebbe avere come obiettivo vincere per incontrare il consenso altrui. Un giocatore di classifica 2.5 dovrebbe godere della stessa considerazione di un 4.4 perché sono due esseri umani che hanno semplicemente deciso di viversi lo stesso sport in modo diverso o che hanno attitudini o obiettivi diversi.
Di qualsiasi sport si tratti e a qualsiasi livello se uno si è divertito e si è sentito libero di esprimersi come piace a lui e secondo i suoi personali obiettivi sarà sempre vincitore e con lui avrà vinto anche lo sport.




























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